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Referendum del 12 giugno 2022: SÌ o NO? L’importante è andare a votare

Referendum del 12 giugno 2022: SÌ o NO? L’importante è andare a votare

La tornata referendaria si svolgerà nella sola giornata di domenica 12 giugno

Anche questa volta c’è stato l’invito di andare al mare anziché a votare, approfittando del bel tempo e del fatto che dopo due anni di restrizioni abbiamo bisogno di riposo e divertimento. No questo non mi piace, non ci piace, il voto è sempre una cosa seria; se non si è d’accordo su di quesito referendario, si fa campagna informativa sul perché la legge non deve essere abrogata, si vota no, ma non si invita il popolo ad andare al mare. Perché se questo invito era vergognoso quando proveniva da un noto politico nazionale di qualche anno fa, perché dovrebbe essere serio e legittimo ora? (Marcello Capasso coordinatore di Cs)

I seggi saranno aperti dalle ore 7 alle ore 23 e lo scrutinio delle schede inizierà lunedì 13, dalle 14 in poi, dando precedenza allo spoglio dei risultati del referendum anche dove si svolgano contestualmente le elezioni amministrative. Al voto possono partecipare i 51,5 milioni di italiani con diritto al voto. Ma affinché ciascuna consultazione sia valida, come stabilisce l’articolo 75 della Costituzione, dovrà partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e dovrà essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. Trattandosi di referendum abrogativi (ossia che puntano a ottenere l’abrogazione totale o parziale di una norma esistente), affinché la legge oggetto del quesito sia abrogata, ovviamente la maggioranza dei voti espressi deve essere un sì.

Chi si reca ai seggi per votare, dovrà portare con sé una mascherina (minimo chirurgica) da indossare all’ingresso, come previsto da una circolare del Ministero della Salute. Anche i positivi al Covid in cura in ospedale possono votare nelle sezioni ospedaliere o nei seggi speciali. Mentre i malati in isolamento o cura nel proprio domicilio debbono far pervenire in anticipo (fra 10 e 5 giorni prima del voto) al sindaco del comune in cui si è iscritti alle liste elettorali una dichiarazione in cui affermano di voler votare, fornendo il proprio indirizzo.

Su cinque quesiti tre – cioè quelli relativi alla separazione delle funzioni dei magistrati, all’intervento degli avvocati nei consigli giudiziari e alla cancellazione delle firme per le liste di candidati al Csm – toccano materie sulle quali intervengono anche alcune norme contenute nella riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura disegnata dal “pacchetto Cartabia”. La riforma, attualmente, è ancora al vaglio del Senato dopo esser stata approvata dalla Camera dei deputati.

Quesito 1: abolizione della legge Severino

Per il referendum numero 1, la scheda è di colore rosso. 

La richiesta dei proponenti è di abrogare il Testo unico del 2012 in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo, noto come legge Severino; quel testo prevede il divieto di ricoprire incarichi di governo e l’ineleggibilità o incandidabilità a elezioni politiche o amministrative (a pena di decadenza) per chi viene condannato in via definitiva per corruzione o altri gravi reati. 

Secondo i promotori del referendum, una parte di quel meccanismo è inefficace e dannosa per le persone coinvolte, laddove prevede la sospensione di sindaci e amministratori locali anche in caso di sentenze non definitive. Tuttavia, l’abrogazione comporterebbe la cancellazione dell’intero testo. Chi viene condannato con sentenza definitiva potrebbe proseguire il mandato o ricandidarsi. E tornerebbe in capo alla magistratura stabilire se applicare o meno la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

Secondo il costituzionalista e parlamentare del Pd Stefano Ceccanti, si tratta del «quesito intimamente più contraddittorio, poiché esiste il problema reale delle sospensioni di amministratori locali e regionali per sentenze non definitive, spesso smentite nei gradi successivi, che andrebbe eliminato. Ma il quesito elimina per intero anche la decadenza e l’incandidabilità per le sentenze definitive». Inoltre, la riforma Cartabia non interviene su questo punto.

Quesito 2: limitazione delle misure cautelari

Per il secondo referendum, la scheda è arancione. 

In questo caso, i proponenti chiedono di limitare i casi di applicazione delle misure cautelari (le restrizioni di libertà come custodia in carcere o ai domiciliari, obbligo di firma e altre a cui un indagato può esser sottoposto prima di una sentenza). A elencare i presupposti per l’applicazione delle misure cautelari (pericolo di fuga, rischio di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato da parte dell’indagato) è l’articolo 274 del codice di procedura penale. Il quesito propone di abrogare l’ultima parte del suddetto articolo, in cui si prevede la possibilità, anche per reati di minor gravità, di motivare la custodia preventiva con il pericolo di reiterazione

Questa motivazione è usata di frequente – sostengono i promotori del referendum – per trattenere gli indagati anche a lungo prima di una sentenza di condanna o di assoluzione. Resta, comunque la misura cautelare per i reati più gravi. 

Chi difende le ragioni del no, ritiene che per diverse tipologie di reato (come la truffa, alcuni crimini fiscali o anche lo stalking) il rischio di reiterazione esista e dunque la custodia cautelare ha un senso.

Quesito 3: magistrati e separazione delle funzioni

In questo caso, la scheda è di colore giallo.

Il referendum ha al centro la separazione delle carriere dei magistrati e propone di eliminare quelle disposizioni che consentono (per quattro volte, al massimo) la possibilità di passare dalla funzione requirente (il sostituto procuratore, che avvia e conduce le indagini e che, come pubblico ministero, rappresenta l’accusa nel processo) e a quella giudicante, incarnata dal giudice super partes, che emette la sentenza. 

Chi propone il sì, ritiene che le due funzioni debbano essere nettamente separate: chi entra in magistratura dovrebbe scegliere all’inizio della carriera il ruolo, requirente o giudicante, senza la possibilità di cambiare in seguito.

Sulla questione, è contenuta una previsione anche nella riforma Cartabia, l’articolo 12 che va nella medesima direzione senza azzerare i passaggi, ma riducendoli dagli attuali quattro a uno.

Quesito 4: valutazioni sull’operato delle toghe

Scheda grigia per il quarto referendum, che chiede l’abrogazione delle le norme riguardanti le competenze dei membri laici (giuristi o avvocati) in seno ai Consigli giudiziari. L’intento dei proponenti è evitare che, come invece accade adesso, la componente laica sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni in merito alla professionalità dei magistrati, che oggi viene demandata esclusivamente a chi indossa la toga. Chi vota sì, apre alla possibilità che docenti universitari di materie giuridiche e rappresentanti dell’avvocatura dispongano del diritto di voto sia nelle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione che in quelle dei Consigli giudiziari a livello territoriale. 

Ciò, a detta dei proponenti, abbasserebbe il tasso di «autoreferenzialità» nei giudizi sul lavoro delle toghe, in linea di massima sempre favorevoli. Sul punto, va ricordato, interviene pure l’articolo 3 della riforma Cartabia, una norma di delega (e non di diretta applicazione) che tuttavia apre al solo intervento dell’avvocatura nei consigli giudiziari.

Quesito 5: elezione dei componenti togati del Csm

Nell’ultimo referendum, la scheda è verde. Il quesito si propone di incidere sulle norme in materia di elezione dei membri togati del Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno dei 10mila magistrati italiani. A parte i tre membri di diritto (presidente della Repubblica, primo presidente e procuratore generale della Cassazione), gli altri componenti vengono eletti ogni quattro anni, che siano togati (ossia provenienti dalla magistratura e votati dalla stessa) o laici (esperti di diritto, votati dal Parlamento). Attualmente, per candidarsi al Csm, un magistrato deve depositare una lista di almeno 25 firme di colleghi. Una eventuale vittoria del sì cancellerebbe la raccolta di firme e riporterebbe in vigore la normativa del 1958, secondo la quale qualunque magistrato può autonomamente e liberamente candidarsi.

I proponenti, indebolirebbe il potere delle cosiddette “correnti”, i gruppi con orientamento politico rappresentati nel “parlamentino” dell’Associazione nazionale magistrati. 

I sostenitori del no ritengono che la cancellazione delle firme di lista abbia una valenza limitata contro le degenerazioni del correntismo, mentre l’articolo 33 dell’attuale riforma del Csm, contenuta nel pacchetto Cartabia, potrebbe avere un’incisività ben maggiore.

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