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Lectura Dantis a Salerno per ricordare Paolo VI ‘dantista’

SALERNO – Continuano al Convitto Nazionale “T. Tasso” di Salerno gli incontri della Lectura Dantis promossi dal Comitato salernitano della Società “Dante Alighieri”, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università degli Studi di Salerno.

Mercoledì 8 febbraio, alle 17.00, toccherà al Prof. Marco Di Matteo intervenire sul tema “Il Signore dell’altissimo canto. Omaggio di Paolo VI a Dante”.

Marco Di Matteo, presidente dell’Associazione “Veritatis Splendor”, da anni attivo sul fronte della didattica umanistica e della speculazione filosofica e teologica, nel tentativo di tracciare nuovi itinerari di approfondimento culturale e di analisi del nostro tempo alla luce della dottrina teologica e del Magistero ecclesiale, relaziona sul rapporto speciale che legava Papa Montini al Sommo Poeta, con riferimento particolare alla Lettera apostolica “Altissimi cantus Domini” pubblicata nel 1965, nell’imminente chiusura del Concilio Vaticano II.

Nel corso del suo pontificato, Paolo VI aveva rivolto grande attenzione alla poesia del Fiorentino e, nel congedare i padri conciliari volle regalare loro una copia della Commedia dantesca, nel VII centenario della nascita del suo illustre autore. E non aveva mancato il Pontefice, in più occasioni, di ravvivarne la memoria, come quando volle fosse apposta una croce d’oro sulla lastra marmorea della sua tomba nella Basilica di San Francesco a Ravenna o come quando dispose che il monogramma di Cristo apparisse sulla corona d’oro elevata in ricordo del Poeta nel Battistero di San Giovanni a Firenze.

La Lettera apostolica “Altissimi cantus Domini” fu vergata in risposta alla critica crociana – e non solo a quella – che sosteneva la “non-poeticità” dell’opera dantesca, per ribadirne l’alta ispirazione divina, l’eleganza formale, i contenuti filosofici e teologici. Il documento pontificio – articolato in 19 capitoli – evidenzia, non a caso, la catarsi e l’afflato religioso che emergono dalla Commedia dantesca, il suo fine “pratico e trasformante”, nonché l’umanesimo e la visione politica di Dante, additato infine come modello insuperato di poeta-teologo.

A distanza di cinquant’anni ed oltre, il Prof. Di Matteo torna a sottolineare il rilievo critico del testo di Paolo VI, per soffermarsi su alcuni aspetti essenziali che attestano non solo l’alto valore poetico e teologico dell’impresa dantesca, ma la singolarità di talune mediazioni critiche che, nei secoli, hanno costellato l’eredità storica di quell’opera poetica. In quest’ottica, l’intervento di Paolo VI volle aiutatare ad “esplorare nella sua opera le ricchezze inestimabili della forza e del senso del pensiero cristiano.” (g. f.)

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