Modulo invio messaggio

Cxxcx

Sfruttamento lavoratori agricoli e PNRR, serve una mappatura comunale: non c’è inclusione senza sinergia istituzionale

Avranno tempo fino al 15 ottobre 2021 i Comuni italiani per rispondere al questionario relativo alla prima indagine nazionale sulle condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agro-alimentare.
Sì, la prima. A fronte dell’incalzante rimonta di un fenomeno internazionale – quello delle migrazioni – che da più di un secolo mostra nell’Europa mediterranea tutta la sua problematica portata, può sembrare strano che in Italia ci si ritrovi per la prima volta a tentare una ricognizione nazionale dei dati che lo riguardano, nel proposito di affrontarlo, se non di risolverlo. Ma anche questo è un dato di fatto e da questo occorre partire.
Nella ricorrenza della 107a Giornata del migrante e del rifugiato, non si può pertanto non prestare attenzione al complesso regime di misure ed azioni che le comunità ecclesiali e le istituzioni statali, ciascuna secondo le proprie competenze, sono ancora una volta chiamate ad attuare per realizzare un’accoglienza concreta, guardando soprattutto ai migranti che sono la forza trainante di alcuni comparti agricoli.
In quest’ottica, assume valore l’ultimo passo compiuto lungo l’impervia strada dell’integrazione e dell’inclusione sociale.
Lo scorso 22 settembre, con una lettera indirizzata a tutti gli Enti comunali della Penisola, il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando e il Presidente di Anci e Sindaco di Bari, Antonio Decaro, hanno invitato le Amministrazioni locali a partecipare
alla grande rilevazione, per tenere acceso il ‘focus’ su una delle piaghe del mercato del lavoro. Nei prossimi giorni sarà inviato il link a cui collegarsi per compilare il questionario.
Obiettivo dell’indagine è mettere in fila tutti i dati informativi necessari per attivare il PNRR.
Si mira a definire, infatti, una mappatura delle circostanze di precarietà e didisagio abitativo presenti sul territorio nazionale, allo scopo di intervenire econtrastare gli insediamenti abusivi, che – com’è noto – costituiscono il nido d’infiltrazione dei gruppi criminali dediti al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori agricoli. Sarà in tal modo possibile attivare i 200 milioni difinanziamenti previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza a sostegno dei Comuni e deipartner strategici attivi nei territori locali.
È un’iniziativa di cui da tempo s’avvertiva – come detto – il bisogno e che trova ragione nell’ambito delle attività del Piano d’Azione a supporto degli enti locali, quale utile strumento per presidiare i processi di inclusione dei cittadini stranieri e gli interventi di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato. Parliamo del progetto InCas, sostenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso il Fondo Nazionale Politiche Migartorie e realizzato da Anci in collaborazione con la Fondazione Cittalia.
Proprio il Piano triennale aveva rilevato qualche anno fa – risaliamo al 2018 – le fattispecie del contesto italiano e fissato le linee strategiche d’azione, per dare carattere di sistematicità alle politiche di monitoraggio e contrasto.
Il Piano, infatti, contempla diverse linee di intervento, da dispiegarsi in un disegno unitarioper un’azione sinergica e trasversale. Vien facile dedurre che tutto non dovrebbe fare una piega se si adottasse un modello di collaborazione interistituzionale incentrato sulla legalità e sulla dignità del lavoro, come anche sugliinvestimenti nelle filiere agroalimentari. La strategia, che va perciò condivisa a più livelli di responsabilità, è articolata in tre fasi: alla fase di analisi del fenomeno, seguono gli interventi
emergenziali nelle aree critiche per poi procedere ad un’azione di sistema estesaal territorio nazionale, strutturata su quattro assi prioritari:
prevenzione, vigilanza e contrasto protezione e assistenza per le vittime,re-integrazione socio lavorativa.
Su carta, tutto funziona. Bisogna passare ai fatti.
Si consideri che nel 2018, in Italia, le persone occupate nel settore agricolo erano stimate a 872 mila unità (il 3,7%dell’occupazione totale)  e che in quel settore il valore aggiunto è cresciuto dello 0,9% per un valore in euro della produzione agricolapari a 59.3 miliardi.
Sono i dati INPS dello stesso anno ad aprire il capitolo sul Mezzogiorno, evidenziando che le Regionicon il maggior numero di operai agricoli sono la Puglia (16,8%), la Sicilia (14,1%), la Calabria (9,9%),con un intermezzo riservato all’Emilia-Romagna (9,5%), per poi richiamarsi alla Campania (6,4%).
Ma è l’ISTAT a riportare che il tasso dilavoro non regolare tra gli addetti all’agricoltura è il più elevato tra tutti i settori economici, attestandosial 24,2%, sempre nel 2018.
Si conosce, insomma, grazie alla cronaca nera il fenomeno dello sfruttamento lavorativo dei cittadini di Paesi terzi nel nostro Paese nella sua generalità, ma non si ha contezza delle situazioni specifiche in cui versano gli stranieri; c’è un gap informativo da colmare. Di qui la necessità di adottare un modello di governance multilivello, che interpelli le diverse amministrazioni a livello centrale, regionale elocale.
Detto in altre parole, per costruire la “casa comune” sognata da Papa Francesco, occorre l’impegno di tutti e ciascuno è portatore di una ‘quota’ d’accoglienza che, per definizione, non è mai eccessiva, perché nessun aspetto del grande Piano sia trascurato al punto da impedire la formazione di quel “noi” che alla cultura del sospettosostituisca una visione antropologica incentrata sulla persona umana, che miri a promuoverne la dignità e lo sviluppo integrale secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa.
Vien giù come conseguenza logica l’appello agli assessorati e agli uffici comunali, che dispongono dei dati sulle condizioni abitative dei migranti attivi nel settore agricolo. Perché ciò che non può essere misurato non può essere valutato e ciò che non può essere valutato non può essere migliorato. (g.f.)

error: Il contenuto è protetto