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Per un lavoro dignitoso ed inclusivo. Intervista con Orazio Brogna, Segretario MLAC di Salerno

Pubblichiamo l’intervista rilasciata a ‘CoscienzaSociale’ da Orazio Brogna, Segretario MLAC dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno.
Il dialogo ha consentito di evidenziare alcune linee di azione del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica e ha offerto diversi spunti di riflessione sullo scenario socio-economico attuale.

D. – Partiamo da una domanda elementare, che è alla base di tutto: perché il MLAC? Qual è la sua ‘mission’?

R. – Il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica nasce fondamentalmente dall’esigenza di meditare e sviluppare all’interno dell’Associazione i temi propri della Dottrina Sociale della Chiesa che nei primi decenni del ‘900 erano diventati sempre più di attualità, e che quindi necessitavano di un maggiore discernimento comunitario, tutti aspetti che ne fanno essenzialmente ancora la sua ragion d’essere. Obiettivo primario del Movimento è sicuramente quello di rendere consapevole per primo ogni laico di AC lavorativamente impegnato di una chiamata volta a testimoniare il Vangelo, abitando con stile missionario anche l’ambiente lavorativo. Per questo c’è bisogno di un continuo confronto, fatto anche di progettazione inerente quelli che possono essere i temi del momento, senza cadere nell’errore di differenziare o estrarre il Movimento dalla proposta formativa più ampia di tutta l’Azione Cattolica, di cui ne fa trasversalmente parte, rivolgendosi ai giovani e agli adulti.

D. – Parole e vedute non facili per tutti. Molti infatti si chiedono che cosa c’entri l’attività lavorativa con la fede professata…
Al contrario, chiediamoci: che cosa significa per un laico cristiano ‘lavorare’?

R. – Il lavoro cristianamente parlando non può essere inteso solo come un mezzo di sostentamento, oppure un ambito dal quale semplicemente trarre soddisfazioni o appagamento delle proprie ambizioni. Basti pensare che la maggior parte della vita attiva e sociale della persona si svolge sempre più nel luogo di lavoro, è impensabile separare la fede dallo stesso, ne va della nostra autenticità. Al lavoratore cristiano viene data nel quotidiano l’immediata possibilità di mettere in pratica gli insegnamenti di Gesù Cristo, anche nella più piccola delle azioni, fosse essa anche ripetitiva, sforzandosi di fare la differenza rispetto al “pensiero dominante”. C’è poi un altro aspetto importante, rimarcato dal Concilio: attraverso il lavoro uomini e donne partecipano attivamente in prima persona a quella che è l’opera del Creatore, intesa come “creazione progressiva”, che continua nella storia proprio grazie al nostro importante contributo, rendendoci corresponsabili di un grande atto di amore.

D. – Il lavoro, intanto, resta un miraggio e, nelle migliori ipotesi, un miracolo. Il Covid-19 ha complicato tutto… L’ISTAT ci dice che nel 2020 sono state circa 1 milione le persone che hanno perso il lavoro per licenziamento, chiusura o cessazione dell’attività o scadenza del contratto. Di questi i cittadini extracomunitari sono solo – si fa per dire – 93 mila e 400, perlopiù uomini 25-34enni impegnati soprattutto in alberghi e ristoranti o nei servizi collettivi e personali.
Viene da chiedersi: di che cosa parliamo quando parliamo di integrazione ed inclusione sociale?

R. – Si ha il timore che le cifre reali siano anche maggiori. La pandemia ha poi acutizzato situazioni di precarietà di cui si era già a conoscenza. Vi è alla base un problema di approccio: il raggiungimento di un certo livello di benessere nella nostra società ha condotto a delle stratificazioni della stessa, portando coloro che vivono in maggiore sicurezza, principalmente per via di un reddito certo e duraturo, ad avere un’idea distorta di determinati lavori e di chi possa svolgerli, ignorando o rassegnandosi alle disuguaglianze. Già prima che l’immigrazione diventasse una questione quotidiana, nel nostro paese serpeggiava questo retaggio culturale che metteva ai margini milioni di connazionali, costringendoli ad emigrare o spesso, e purtroppo, ad alimentare i sottoboschi dell’illegalità. Se non superiamo tutti insieme certi distinguo tra i vari tipi di impiego, tra l’io e l’altro, anche i più buoni propositi rischiano poi di arenarsi o di restare dei casi a sé stanti. E qui ci viene incontro la visione profetica di Papa Francesco, secondo la quale “oggi c’è bisogno di un nuovo umanesimo”, per la costruzione di una vera “pace sociale”.

D. – Credo che i giovani subiscano gli effetti deleteri di queste distorsioni valoriali. Del resto, la disoccupazione giovanile resta ferma a livelli di criticità ancora molto alti, per non dire delle complicazioni apportate dal Covid-19. Che proposte – per non dire soluzioni – ha il MLAC per ‘smuovere’ i cosiddetti Neet?

R. – Il recente report dell’EUROSTAT condotto su dati del 2020, vede la media nazionale italiana dei NEET nella fascia 15-24 anni tristemente fanalino di coda nell’Europa a 27, con alcune regioni del nostro Sud che sfiorano quote del 30%. E anche qui bisogna superare diversi preconcetti e chiusure al cambiamento. Dal canto suo, il MLAC, anche con l’ultimo documento assembleare nazionale approvato in primavera, ha ribadito l’importanza di determinati percorsi già intrapresi, quali: – l’importanza dell’alternanza scuola-lavoro, per una qualità della formazione sempre meno formale; – il dialogo e il coinvolgimento oltre che degli altri ambiti giovanili dell’associazione, quali il MSAC, anche della FUCI e della GIOC, con la partecipazione al Progetto Policoro della CEI per il rilancio dell’occupazione giovanile, anche attraverso l’iniziativa d’impresa. Proprio in tal senso, il Movimento promuove la “progettazione sociale” attraverso l’annuale concorso “Idee in Movimento”, con l’erogazione di un contributo ai progetti vincitori, per far emergere le realtà dei singoli territori attraverso i concetti dell’economia circolare e sostenibile, auspicando maggiore cooperazione in modalità di rete, apporto di innovazione e creazione di nuove opportunità di lavoro.

D. – A proposito di lavoro da creare e di inserimento nel mercato del lavoro. Un giudizio sul Reddito di Cittadinanza… Va eliminato o migliorato?

R. – Personalmente, lo ritengo un valido ammortizzatore sociale e il fine per il quale è stato concepito, altamente “nobile”. Dispiace che nel calderone mediatico ne venga fatta spesso solo una questione ideologica o politica. Come tutti i processi umani, è sempre possibile migliorare, e mi verrebbe da pensare che alcune storture o defaiances siano state possibili per via di distrazioni causate principalmente dalla pandemia. Bisogna incrementare indubbiamente la vigilanza e dimostrare qualcosa in più sul reinserimento nel mercato di lavoro, passi anche per l’impiego temporaneo in lavori considerati di maggiore utilità sociale, senza dare così adito ai detrattori secondo cui lo strumento finisca per alimentare l’ozio e i suoi derivati. In quanto alla penuria di manodopera che si è venuta a creare con l’introduzione del reddito, penso invece che si stia esemplificando troppo il fenomeno e che vadano fatte le dovute distinzioni tra settori, in quanto se vengono corrisposti un giusto salario e un trattamento dignitoso, la domanda di lavoro può sempre adeguatamente incontrare l’offerta.

D. – Veniamo alla realtà locale. Quali sono le priorità d’intervento per il MLAC diocesano?

R. – In questo momento il Movimento a livello diocesano ha bisogno di radicarsi dapprima in quelle realtà dove è già presente l’Azione Cattolica, ancora di più dopo l’interruzione pandemica. Stiamo cercando di individuare almeno un referente per ogni associazione parrocchiale di base affinché vi sia un interscambio continuo tra l’équipe diocesana e le singole realtà, perché solo se vi è una diffusa consapevolezza è possibile tenere alta l’attenzione su temi caldi e portare avanti proposte concrete. Al tempo stesso va portata la proposta di tutta l’Associazione laddove non c’è, perché come dicevo, il percorso del MLAC non può essere scisso da quello di AC. Il territorio diocesano è esteso e molto variegato, necessita di una profonda conoscenza che solo chi lo abita in prima persona può trasmettere. Con la Presidenza Diocesana di AC abbiamo già avviato alcuni sondaggi per le realtà più periferiche e la stessa si sta muovendo nella direzione della più ampia promozione associativa.

D. – Lavoro, diritti, dignità… Ma anche battaglie su fronti specifici, come la sicurezza, la tutela della salute, la formazione professionale, la sostenibilità ambientale. In che cosa il MLAC diocesano si differenzia, dunque, dai Sindacati e dai Patronati locali?

R. – Con tutto rispetto, altre organizzazioni in difesa o assistenza dei lavoratori possono avere una strutturazione tale che si avvicina a quella dell’impresa di servizi, sebbene con il nobile fine di pura mutualità, generando rapporti del tipo “erogatore-utente”. Il MLAC ha invece un’organizzazione che ricalca in modo più semplice quella dell’Azione Cattolica secondo i livelli diocesano, regionale, nazionale, con il “fare” apostolico proprio della Chiesa, con la quale, attraverso l’Associazione, è in piena comunione. Le tematiche possono essere indubbiamente le stesse, con la differenza che il MLAC ha principalmente due compiti, senza sostituirsi all’opera di altri: – fare discernimento della realtà del mondo del lavoro e del sociale in generale, con quella chiave in più offerta dal magistero e dalla Dottrina Sociale della Chiesa, apportando quel di più ai soci lavoratori o in cerca di lavoro, e completando così la proposta formativa associativa; – formare così  pienamente i laici impegnati, di modo da essere pronti al confronto e all’annuncio del Vangelo laddove operano nel quotidiano, con esemplare testimonianza, divenendo “sale e luce” del luogo di lavoro.

D. – Non sono però poche le realtà del laicato cattolico attive anche nella Provincia di Salerno in difesa dei lavoratori. Penso al MCL o alle ACLI… 

R. – Ci sono sicuramente diverse proposte di tipo assistenziale, di dichiarata ispirazione cristiana e con una lunga tradizione, costituitesi autonomamente, pur sempre in comunione con la Chiesa. Il MLAC non può che trarre giovamento dalla presenza di altri operatori già impegnati e radicati sul territorio, con i quali interfacciarsi e dai quali anche apprendere, lieto di poter intraprendere anche nuovi cammini e progetti insieme.

D. – A tal proposito, ti chiedo se ci sono iniziative e progetti in cantiere che il MLAC diocesano medita di realizzare con altre associazioni o movimenti oppure in collaborazione con gli Uffici pastorali e gli Enti locali… Cosa bolle in pentola?

R. – E’ necessario cominciare a lavorare a stretto contatto con gli uffici della pastorale in Diocesi e stringere dapprima alleanze con altre realtà dell’associazionismo cristiano, dove il nostro assistente spirituale don Marco Russo, fresco di nomina, grazie ai suoi trascorsi nella pastorale sociale è di importante aiuto. Inutile nascondere che l’evento pandemico abbia interrotto le attività proprio a ridosso delle scadenze degli incarichi, rimandando il tutto di almeno un anno. Abbiamo individuato una serie di priorità nel corso del congresso diocesano dell’ultima primavera che consentono di poter lavorare con una visione di lungo periodo, anche al di là della durata triennale degli incarichi, quali la questione ecologica, la sicurezza sul lavoro, il consumo consapevole, la vocazione dei territori… credo sia importante in questa fase andare ad intercettare chi già fa cosa, affiancandosi in modo da fare rete e trarne esperienza insieme. E per farlo c’è bisogno di avere un importante seguito di aderenti che dobbiamo opportunamente motivare.

D. – Torniamo ai cittadini extracomunitari. Da gennaio a dicembre 2020, sono stati 97.141 i lavoratori stranieri colpiti da infortuni: 73.331 casi hanno riguardato gli extra-comunitari e 23.810 quelli comunitari. Insomma, per ogni lavoratore comunitario infortunato ce ne sono almeno tre extracomunitari esposti a rischio non minore di morte o infortunio.
Come spiega questo dato? La tutela della salute e della sicurezza dipende forse dal colore della pelle e dall’appartenenza etnica?

R. – C’è purtroppo una triste correlazione tra la qualità del lavoro svolto e i rischi per la vita del lavoratore. Quando il lavoro è sottopagato ed è poco, se non per niente, dignitoso, viene meno qualsiasi rete di protezione. E i più esposti sono quelli che non hanno scelta, che si vedono costretti ad accettare condizioni disumane per sopravvivere, di fronte a logiche perverse di massimizzazione del profitto. Si sente parlare di “invisibili”, di “scarto”, quando con lo sfruttamento di tanti uomini e donne che hanno già pagato un prezzo elevatissimo lasciandosi dietro di sé storie, vite, affetti, si rende disponibile una vasta offerta di beni e servizi a disposizione del pronto consumo di una società che pare non avere più il tempo di farsi troppe domande. La questione della sicurezza sta comunque investendo un po’ tutto l’ambiente lavorativo, come i tristi fatti di cronaca quasi quotidianamente ce lo ricordano; anni di spending review, di tagli orizzontali, hanno esposto a maggiori rischi anche chi sta seduto quasi tutto il tempo dietro una scrivania, per dirla in parole povere. E’ evidente che solo la normativa non può invertire la tendenza, se poi non vi sono adeguati controlli ex ante, nonostante anche le continue denunce, che spesso non trovano il dovuto e pronto ascolto da parte delle autorità; normare intensamente può poi diventare addirittura controproducente, portando ad eludere misure troppo stringenti e dispendiose. Al di là di quello che la politica può ancora fare, ponendosi anche in maggiore ascolto delle imprese e delle associazioni di categoria, una maggiore valorizzazione dell’economia di filiera insieme ad una formazione più consapevole del consumatore, o più semplicemente, l’etica del consumo, può rappresentare una decisa svolta nella lotta alle diseguaglianze e allo sfruttamento che stanno soprattutto alla base della catena del prodotto, sia esso tangibile o meno. Il consumatore ha da sempre un grande potere nell’orientare le scelte del sistema produttivo, ancor di più oggi che le informazioni sono prontamente disponibili e che circolano ad una velocità mai conosciuta prima. Il consumatore cristiano ha il dovere di informarsi adeguatamente all’atto dell’acquisto, evitando di cadere nella facile tentazione del “low cost”, specialmente quando poco si sa di quello che andiamo a comprare.     

D. – Bene. Per oggi forse può bastare… Sono innumerevoli i punti di riflessione. Buon cammino alla guida del MLAC e grazie per l’aver risposto al nostro invito. Alla prossima occasione!

R. – Ringrazio tutti quanti Voi di Coscienza Sociale per l’intensa attività di sensibilizzazione circa i temi del bene comune, che possa essere di vero esempio per tante altre realtà associative sul territorio. Un sentito grazie anche a tutta l’Equipe diocesana del MLAC e a don Marco per questo nuovo percorso che abbiamo scelto di intraprendere insieme, confidando che il Signore Dio ci assista ogni giorno. Un augurio di buon cammino a tutti!

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