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Governo della crisi e complessità pandemica: quale ‘raccordo’ politico per riforme sostenibili?


Per superare la crisi di governo occorre un governo della crisi. Non è un gioco di parole. È il gioco della politica, che fa e disfa gli equilibri sia quando preserva gli interessi di parte sia quando punta a rigenerarli per il bene comune. In tempo di pandemia, la circostanza politica attuale manifesta ancor più la propria complessità e solleva questioni di ‘governance’ afferenti tanto all’economia quanto alla biopolitica.
La posta in gioco è alta. A volerla quantificare si pensa subito ai 209 miliardi di euro del Recovery Found. Ed è normale. Del resto, dalla discussione sul loro impiego sono venute giù in maggioranza le incrinature d’autunno fino alla crisi di questi giorni. Ma c’è motivo di ritenere che a pesare sulla bilancia della politica italiana ci sia qualcosa di diverso e di ulteriore che, ancora una volta, sfugge alle evidenze ponderali, proprio perché è una grandezza imponderabile. È la coscienza sociale dei politici italiani che dovrebbe, per prima, essere convocata ai tavoli programmatici per contenere l’emergenza pandemica entro protocolli attuabili e sostenibili. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella punta ad una ripartenza immediata dell’Esecutivo: c’è un Paese da vaccinare contro gli attacchi persistenti di un virus che alla lunga potrebbe minare la tenuta sociale e la resilienza delle istituzioni democratiche.
Oltretutto, la vera politica affronta i problemi, non li elude. Ed è, in sostanza, la reazione dell’opinione pubblica scaturita dall’annuncio della crisi: il tentativo di stabilizzare un piano vaccinale equo ed efficace non può essere evidentemente compresso dal cozzo di interessi particolari. E poi: per rimettere in moto la macchina governativa i passi certi da compiere sono pochi, ma vanno fatti in tempi ristretti.
Il mandato esplorativo conferito ad una figura istituzionale qual è il Presidente della Camera Roberto Fico tradisce la volontà del Colle di non bruciare nomi e di non soffocare chances di ricomposizione già nella culla delle consultazioni. Anche perché ciascuno dei partiti segue, per ora, traiettorie diverse. Il centrodestra chiede compatto di tornare alle urne; il PD, Leu e i 5 Stelle blindano Conte in un abbraccio riparatore; Italia Viva chiede di strappare la precedente agenda di governo e di riscriverne un’altra. C’è, insomma, chi nella discontinuità coglie occasione di un’anticipata rivalsa elettorale e chi nel battesimo di un Conte-ter vede coagularsi una promessa di redenzione. S’invoca, a tal proposito, un “patto di legislatura” a mo’ di forza motrice oltre la secca contingente, un’intesa che sbrini lo stallo imperante e rimetta in piedi il Governo. È una formula pattizia che, in quanto tale, esige lealtà di posizioni e nitidezza di intenzioni; occorrono tuttavia nettezza di determinazioni e fluidità di interlocuzioni nell’agone politico, ossia aperture tali da far approdare le esplorazioni di questi giorni nel porto franco di rigenerate intese.
Anzi, è singolare assistere in questo frangente alle reiterate prese di posizione assunte da ogni parte. Nulla invero di cui stupirsi. La stessa linea di frattura rigava una maggioranza che andava avanti senza una comune matrice ideale, prima ancora che contrattuale. Ed è noto: quando non si riesce ad accordarsi sulle idee, pur di coabitare si corre in fretta a sottoscrivere accordi. A ben pensarci, sta emergendo in questi giorni  quanto già s’agitava nel ventre della maggioranza prima che Conte si dimettesse. Snebbiato il campo dai vacui protagonismi, sono emersi i difetti strutturali di una compagine scollata sul nascere. Il Presidente Fico è stato chiamato a fare chiarezza, per comprendere – oltre i reclami ideologici e gli affronti personali – se la crisi possa essere superata accordando le parti intorno ad alcuni temi comunemente avvertiti come irrinunciabili, a partire dalla riforma della giustizia, della sanità e delle politiche attive del lavoro. È, in fondo, quel che ha chiesto lo stesso Renzi, al termine del suo incontro a Montecitorio con la terza carica dello Stato.Si auspicano soluzioni condivise e si ribadisce la disponibilità a dare un contributo leale e costruttivo, interpellando o meno le urne, ma si rischia al contempo di acuire le posizioni e farle divergere nella deriva di una radicalità gelante e inconcludente quando si viene ai nomi. Non sarebbe questo il gioco nobile della politica e, se anche lo fosse, non gioverebbe alla ricomposizione di una solida maggioranza, oggi più che mai indispensabile nel traghettare il Paese fuori dall’emergenza epidemiologica. Perché, in fondo, nessuno è tanto ingenuo da presumere che la crisi politica italiana sarà terminata nel momento in cui una nuova maggioranza avrà rimesso in piedi una squadra di governo. C’è una crisi oltre la crisi che esige la disponibilità a governare la complessità con coraggio e competenza. La crisi di governo è, insomma, solo l’epifenomeno di una più estesa ed articolata crisi di sistema. Serve, dunque, un dispositivo che agevoli la sintesi tra le parti, un fattore mediano che finalizzi la dialettica talvolta intermittente talaltra convulsa e fuorviante tra le forze politiche in gioco. Serve, per dirla con un’immagine, un raccordo. Sì, un raccordo che sia attuato con l’autorevolezza della fonte istituzionale e, al contempo, con la popolarità riconosciuta dalla società civile. Ed un raccordo, si sa, nelle opere stradali è il tronco viario che viene di solito inserito tra un rettifilo ed una curva per favorire i veicoli in transito, affinché gestiscano gradualmente la forza centrifuga e non sbandino. Lo esige il cammino delle riforme che, in ogni stagione politica, va implementato senza che siano ribaltate le priorità o stravolti gli assetti preesistenti, orientando le scelte di governo verso i bisogni emergenti dei cittadini. Se dunque l’ipotesi di una sintesi politica è verificabile, ci si chiede: quale potrà essere, in concreto, questo raccordo?
Probabilmente ciò di cui difetta il quadro politico attuale è un sentire comune, una comunanza d’intenti, una cognizione integrale della realtà complessa che armonizzi i patrimoni valoriali di ciascuno in una prospettiva lungimirante e strategica, in cui possano essede definite le priorità e migliorate le prassi per realizzarle. Si pensi alla stessa adesione nazionale alla Next Generation UE che, avvenuta in un contesto reso problematico dal corrente regime pandemico, ha inaugurato linee di argomentazione a mano a mano rivelatesi divisorie, sebbene si fosse convinti dell’opportunità di aderirvi. Ciò capita quando i politici e gli economisti, in particolare, s’interrogano insieme sul da farsi senza formulare ancora insieme risposte che tengano testa alla complessità dello scenario attuale. Eppure, mai come nella circostanza singolare inaugurata dalla crisi di governo, la politica e l’economia devono saper dialogare, per ricucire un approccio integrato alla società complessa, il che esige competenza tecnica nel gestire processi di ampia scala e, al contempo, capacità di ascolto delle micro-realtà territoriali. Quello del federalismo resta, a quanto pare, un tema-chiave del dibattito politico, il vero nodo della governance dei territori. Nel tempo delle restrizioni e delle vaccinazioni anti-Covid, con l’aggregarsi sociale costretto a rimodulazioni continue, occorre saper formulare un indirizzo d’azione che soddisfi i bisogni delle persone e delle comunità, nel limite di esercizio dei poteri, riscrivendo dunque la geografia del federalismo e della dialettica tra il governo centrale e le autonomie locali. Mantenendo a bada le passioni, contemperando gli interessi e affermando i valori comuni, probabilmente anche la crisi, transito globale necessario per il Paese e il mondo intero, diverrà più sostenibile.

(Giuseppe Falanga)

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