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Con Livatino per riscoprire il senso della legalità

Nell’aprile 2016, durante il commissariamento prefettizio della città di Battipaglia a causa di infiltrazioni camorristiche, l’Azione Cattolica parrocchiale di Sant’Antonio di Padova, su iniziativa del suo laboratorio socio-politico “CoscienzaSociale”, organizzò un percorso sulla legalità, ponendo al centro la figura del giudice Rosario Livatino, fervente nella preghiera, fedele al lavoro, operoso nel bene comune, valoroso socio di Azione Cattolica. Nell’occasione, l’AC si fece promotrice dell’intitolazione a Livatino di una strada comunale; alla cerimonia di inaugurazione furono presenti le forze dell’ordine, i commissari prefettizi, le scuole del quartiere Serroni e tante persone comuni che chiesero alla città un cambiamento radicale delle abitudini di vita personali e sociali. Il commissariamento per infiltrazioni camorristiche non implica, infatti, soltanto una responsabilità politica; esso dimostra in modo inconfutabile che la società civile non vigilava su quanto stava accadendo.I cittadini non possono non partecipare alla gestione della cosa pubblica, per contribuire con idee, progetti, istanze, segnalazioni alla vita della città. Da tempo l’Azione Cattolica di Sant’Antonio di Padova sollecita tanto i soci ad occuparsi del bene comune quanto l’Amministrazione ad intraprendere iniziative essenziali, in modo preciso e puntuale. Nell’aprile di quel 2016 l’Azione Cattolica organizzò in memoria del giudice Livatino anche un convegno sulla legalità e lanciò il reading “La strada ed il colibrì”, animato con passione da alcuni giovani. Vale ricordare, seppur in breve, chi è stato Rosario Livatino. Egli nacque a Canicattì, in provincia di Agrigento, il 3 ottobre 1952. Si laureò in Giurisprudenza a Palermo e nel 1978 entrò in magistratura. La bella notizia è recente: il “giudice ragazzino” sarà proclamato beato in primavera perché ucciso “in odio alla fede”. Era il 21 settembre 1990: fu assassinato sulla strada statale 640 che conduce da Canicattì verso Agrigento, mentre viaggiava da solo, in automobile, per recarsi in Tribunale, dove lavorava. Alcune settimane fa Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che ne riconosce il martirio. Sin dalla giovinezza – si legge nel comunicato della Santa Sede –  Livatino partecipò all’Azione Cattolica e frequentò la parrocchia, dove teneva conversazioni giuridiche e pastorali, dava il proprio contributo nei corsi di preparazione al matrimonio e interveniva agli incontri organizzati da associazioni cattoliche. Anche da Magistrato continuò a vivere l’esperienza della comunità parrocchiale”. Si consideri che negli anni ’80 a Canicattì e in tutto il territorio agrigentino era in atto una vera ‘guerra’ di mafia, che vedeva contrapposti i clan emergenti (denominati ‘Stiddari’) contro Cosa Nostra, il cui padrino locale era Giuseppe Di Caro, che abitava nello stesso condominio del Servo di Dio.  Da parte sua, Livatino è stato come Chinnici, Falcone e Borsellino un valoroso magistrato siciliano, un anticorpo contro la piaga della mafia; egli non ebbe paura a scegliere il bene per contrastare il male, pur essendo consapevole che ciò poteva essere pericoloso per la sua vita. Si oppose alla mafia a testa alta, con fierezza e consapevolezza. Ma la sua difesa principale era la preghiera. Sull’agenda personale fu rinvenuta la sigla SBD che significa “Sub Tutela Dei” (Sotto la tutela di Dio). La sua unica scorta era Dio. E scusate se è poco! ​Chi ha Dio non manca di nulla, non teme la malattia, la sofferenza, la solitudine, la morte; anche noi dovremmo come Rosario essere capaci di legarci al Signore, qualsiasi lavoro svolgiamo, in qualsiasi luogo ci si trovi, ovunque trascorriamo un po’ della nostra vita.
Seguiamo il suo esempio e saremo capaci di comprendere l’amore sconfinato per Dio e per il prossimo. Insomma, la morte di Rosario Livatino non è stata vana. All’indomani del forte appello di Giovanni Paolo II alla conversione dei mafiosi lanciato nel 1993 nella Valle dei Templi di Agrigento, uno dei suoi assassini iniziò un cammino di fede: le immagini del papa che  incontrava i genitori del giudice furono per lui un ulteriore strumento per cambiare vita. D’altro canto, i genitori del giovane giudice non espressero mai parole di condanna, ma solo di perdono e di vicinanza per le famiglie degli assassini. Tutto ciò deve far riflettere, perché il cristiano condanna il peccato, non il peccatore. Come Livatino il cristiano è chiamato ad amare tutti; come Livatino, deve saper alimentare la propria vita con la preghiera, per lottare con coraggio nella promozione costante del bene.
(Avv. Marcello Capasso – Coordinatore CS)

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