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*OR* N.35/10 - Prof. Vittorio Bachelet

BACHELET, PROFESSORE IN RICERCA

di Marco Pio D’Elia

È proprio l’università – luogo libero di pensiero e democrazia – ad essere teatro dell’attentato terroristico consumatosi il 12 febbraio 1980. È un martedì e nell’atrio della facoltà romana di Scienze politiche della Sapienza, in un angolo, accanto alla grande porta vetrata d’ingresso, un commando delle Brigate Rosse lascia a terra senza vita, con sette colpi di pistola, Vittorio Bachelet. Il luogo individuato non è casuale. Il protagonista, divenuto martire, dedica gran parte della propria vita tra quelle aule universitarie, prima da studente, poi da professore. Un luogo non in cui isolarsi o rifugiarsi tra privilegi, ma dove, piuttosto, imparare a pensare, ragionare, costruire le proprie idee. Nel quale leggere il tempo e lo spazio passato, per poter abitare con coscienza il presente, ponendosi al servizio dell’umanità. Di questo lui è lucidamente consapevole; in anni in cui, peraltro, le università restano ancora in gran parte centri di élite, riservate a quanti possono permettersi di sostenere economicamente le rendite accademiche. Un “privilegio” acquisito e assicurato da famiglie medio-borghesi per i propri figli, che Bachelet legge invece come una “responsabilità” nei confronti dell’altro; interpretazione valida ancora oggi, forse più di ieri.

«Avere il privilegio di fare l’università vuol dire ricevere alcuni talenti di più, di cui bisogna rispondere. Vuol dire cioè avere una responsabilità maggiore, non solo di fronte a Dio, ma di fronte al prossimo. Perciò, l’universitario è chiamato anche al senso del concreto, a imparare a vivere con gli uomini e a conoscere gli uomini, e ad agire fra gli uomini» (1).

Sarebbe parziale la comprensione di Bachelet se tracciassimo di lui una descrizione che tiene separati i suoi profili – quello religioso, sociale da quello accademico, politico –, come se si potessero avere più biografie di una sola persona, una per ciascun ambito di impegno. Trovo corretto, invece, presentarlo come chi ha scelto di vivere una vita piena, totalizzante, autentica. Vittorio Bachelet “è stato”, non “ha fatto”. È stato cristiano e politico, insieme giurista e marito, ancora padre e professore. Non è mai mancato ai propri doveri, tantomeno ne ha preferiti alcuni ad altri; non abbandona l’insegnamento né durante gli anni impegnativi della presidenza dell’Azione Cattolica né in quelli da vice-presidente del Consiglio Supremo della Magistratura. Nei suoi anni, l’università si è caratterizzata in maniera progressiva come un luogo di equilibrio consolidato tra accademia e politica, nonché con il mondo cattolico. La sua militanza nell’ambiente universitario inizia difatti con l’impegno nella Fuci, quando da giovane socio di AC, iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, frequenta la sezione romana, arrivando poi al centro nazionale. È ancora studente quando comprende che l’attività del professore universitario

«non è puramente un mestiere, ma una vocazione spirituale, che trascende la materialità degli interessi personali e si riserva nel pubblico come un servizio» (2).

In questa prospettiva, l’esempio di Bachelet ci indica la strada dell’impegno giornaliero, sereno e disponibile nei confronti di tutti, in particolare dei più giovani. Rosy Bindi, che ne è stata assistente di cattedra dal 1974 fino all’ultimo giorno, ricorda lezioni affollate da studenti, facilmente presumibile per come lo descrive Giuseppe Ignesti, docente e suo collega:

«Fu un punto di riferimento per i giovani e gli insegnanti, non solo per la sua autorevolezza, quanto per la sua disponibilità e apertura al dialogo. Era docente, ma anche padre: un’unica vocazione. Con gli studenti era quel professore che ti trasmetteva fiducia, quell’affidamento che uno studente deve poter ricevere nel rapporto con i propri maestri» (3).

Il Bachelet professore offre una grande lezione: prestare attenzione alle storie, alle esigenze di quanti incrociamo nel quotidiano, senza giudicare, ma facendosi prossimi laddove si percepisca il bisogno di aiuto. Mettersi pazientemente in ricerca della verità degli altri con gli altri, un processo maieutico che sa di tenerezza. Fa sorridere e riflettere l’episodio raccontato in varie occasioni da Rosy Bindi, che vede il professore alle prese con una tesi di laurea non esattamente scientifica, per non dire copiata, di una studentessa. Non c’è rimprovero, almeno non come saremmo soliti immaginarlo, ne un rifiuto, ma un accompagnamento, un camminare insieme conclusosi con la stesura di un nuovo elaborato ed una brillante discussione, dopo la quale si è detto fierissimo, conferma l’assistente. È straordinario l’insegnamento ricevuto: preferire la strada più lunga, forse più scomoda a discapito di quella individualista verso cui indirizza il mondo, perché più semplice e sbrigativa. Bachelet avvia, non inconsapevolmente, quel processo di modernizzazione necessario delle università, rendendo le proprie aule luoghi di studio non fine a se stesso, utili per formarsi come persone, prima ancora che come professionisti. Cantieri di speranza, officine dove si lavora a un futuro migliore, dove si impara a essere responsabili di sé e del mondo. Strumenti per discernere e rispondere alle proprie vocazioni, in cui fare esperienza di democraticità per noi e per chi ci siede accanto. Luoghi in cui non trovare risposte, ma dove imparare a cercarle. Così come si è rinnovata la Chiesa con il Concilio Vaticano II, per alcuni meriti dello stesso Bachelet, così con i tempi deve mutare l’istruzione superiore, sviluppandosi in profondità e in estensione: con questo Vittorio sarebbe profondamento d’accordo.
Ma coloro i quali hanno creduto di fermare questo processo togliendogli la vita – proprio mentre “armava” intellettualmente i nemici del terrorismo in questa istituzione – non hanno tenuto conto del peso delle sue idee, alimentate e sostenute dal Vangelo, che ancora oggi continuano, e continueranno, a camminare sulle gambe di altri.

NOTE

1) Vittorio Bachelet, Scritti del periodo di militanza nella FUCI .​
2) Ernesto Nathan, Prolusione al corso di Etica Professionale, 1906.
3) Giuseppe Ignesti, Un sorriso di pace , documentario di Tv2000 sulla figura di Vittorio Bachelet.​

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