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L’ospite inatteso

Il titolo di questo breve intervento è lo stesso di un film di qualche tempo fa.

Spero di indurre il lettore a cercarlo e vederlo, ma vorrei soffermarmi sulle parole del titolo. Le parole assumono strani e diversi significati e scatenano strane e diverse reazioni a seconda del momento. Accoglienza. Un tempo parola innocua, oggi inevitabilmente determina prese di posizione e fa alzare barricate: tu che la pensi in un modo, io all’opposto. Tu buonista, io realista. Tu ed io divisi da ciò che pensa qualcun altro. Una sicurezza ostentata più come appartenenza che come conoscenza. Alla base dell’accoglienza c’è una persona: l’ospite. La parola ospite, non solo in italiano, indica sia chi ospita, il padrone di casa, sia lo straniero, chi è ospitato. Non è un caso.Questa dualità indicava che l’accoglienza non era a carico solo di chi offriva un riparo: chi era ospitato accoglieva allo stesso modo del padrone di casa e ricambiava l’ospitalità.Questo stretto rapporto era all’origine della parola stessa: in latino “hostis” non era uno straniero qualsiasi ma quello cui erano riconosciuti gli stessi diritti da cittadino, nel caso specifico, di Roma antica. Ma un’altra parola deriva dalla stessa radice di ospite: ostile.

Già, l’esatto opposto dell’ospite, il nemico. Alcuni fanno risalire questa distinzione all’epoca delle città, quando chi veniva da fuori cominciava ad essere considerato diverso da chi era nelle mura. In realtà, la vera parola che indica lo straniero è barbaro, colui che viene da fuori e con cui non ho nulla in comune. Qual è la differenza allora tra nemico e barbaro? La troviamo proprio nella parola stessa. Il barbaro non lo comprendo e non voglio comprenderlo. È tale perché al di fuori del comprensibile e quindi lo temo, provoca paura. Al nemico invece è riconosciuta pari dignità, anche nella lotta. Ha qualcosa di familiare, eppure estraneo. Gli corro incontro per combatterlo, eppure potrei farlo allo stesso modo per stringere la sua mano. Nell’affrontarlo, scopro qualcosa che mi appartiene, ma allo stesso tempo nascosto. Il nemico disvela ciò che di mio mi è oscuro.

 Forse è un po’ come avviene nello sport, dove l’avversario va sconfitto, ma rispettato: col suo confrontarsi fa sì che io dia il meglio di me, cosa che non farei in allenamento, da solo. Il suo essere presente mi da modo di giocare. Questa dualità, che ci portiamo dentro da sempre, ha forse a che fare con un concetto che difficilmente può essere tradotto in italiano senza perdere in precisione ed efficacia: “Unheimliche”, che in tedesco indica pressappoco lo stato di disagio che proviamo quando qualcosa ci sembra familiare eppure ci impaurisce allo stesso tempo, qualcosa che non mi aspetto, l’inatteso.

 “Heim” è la casa e “heimliche” è la parte più recondita, nascosta di essa, quella che dovrei conoscere meglio di chiunque. “Unheimliche” è il contrario di tutto ciò, affermare che la parte più nascosta di me stesso non la conosco affatto. La cosa più incredibile di questa piccola storia è che in definitiva da solo non posso conoscermi davvero, ho bisogno di un altro: l’ospite, il nemico, colui che entrando nella mia casa accende una luce in quella stanza che conosco, ma non so descrivere, che mi costringe ad entrarvi, l’avversario che mi spinge a giocare in un modo che non avrei mai immaginato.Questa è stata la base dello sviluppo umano: l’incontro tra diversi che rende migliori.

 Dovremmo forse imparare dai bambini, che si divertono nell’avere paura, che nel gioco del nascondersi, nel buio delle paure, scoprono la bellezza del ritrovarsi alla luce della scoperta dell’altro. Quanto dovrebbe essere facile per chi crede riconoscere in ciò che è ostile qualcosa di ospitale. Un’altra parola aiuta in questo, e proprio della stessa origine di ospite ed ostile: ostia, la vittima che si sacrifica per il bene di tutti, che vince le tenebre della paura del peccato e ci fa conoscere la luce della resurrezione, quella parte di noi stessi che chiamiamo “il meglio di me”, ma che non riusciamo a cogliere da soli, la possibilità di essere diversi. Un augurio per il cammino verso la Pasqua: è sulla strada più difficile, ostile, che ritroveremo noi stessi e il senso dell’altro, con l’aiuto di chi si è già sacrificato per noi, ma non è stato riconosciuto dai suoi. In definitiva, un ospite inatteso. (Alfredo Vicinanza)

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