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Dall’immigrazione all’integrazione: l’Italia è pronta?

L’immigrazione è un tema quanto mai scottante, soprattutto in Italia. Ormai in quasi tutte le città italiane, addirittura anche nei borghi meno conosciuti, sono ben radicate le comunità provenienti dal continente africano e non solo.
Ma l’Italia è pronta ad integrare nel suo tessuto sociale gli immigrati? Non lo è ancora.
A differenza di altri Stati europei, l’Italia solo da pochi anni si è impegnata ad elaborare politiche sull’immigrazione; durante gli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80, lo Stato ha preferito “non decidere” in materia di immigrazione, lasciando agli enti locali ed alle organizzazioni assistenziali quello di affrontare, in qualche modo, le emergenze con centri di prima accoglienza, mense, dormitori. Si tratta di politiche che non hanno tenuto conto dei bisogni e dei diritti di chi proveniva da un altro paese, fornendo prevalentemente assistenza caritatevole, in assenza di una legge specifica. Solo alla fine del 1986 abbiamo la prima legge in materia di immigrazione, periodo in cui si avverte la necessità di un intervento da parte dello Stato che esprima la volontà di regolarizzare i flussi migratori, tenendo conto anche dei diritti degli stranieri. Dagli anni ‘80 in poi, la produzione normativa si è sviluppata in maniera caotica, questo è dipeso delle diverse posizioni dei governi che si sono via via succeduti. Oggi la materia è disciplinata dal testo unico sull’immigrazione aggiornato, da ultimo, dalla legge 14 luglio 2017, n. 110.
La scarsa chiarezza normativa è la spia che lo Stato non si è dotato di strutture ad hoc per far fronte a questa emergenza. Inoltre gli stranieri già presenti in Italia e le loro famiglie, spesso non godono di parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani; contravvenendo all’Art.3 della Costituzione.
La maggior parte dei centri di accoglienza per immigrati oggi non crea integrazione. Sono percepiti come luoghi dormitorio dove gli ospiti, dopo aver “bighellonato” in giro per la città, al calar della sera ritornano per dormire. Il vagare senza meta durante la giornata crea malcontento negli abitanti delle città. Le cronache sono piene di aggressioni di extracomunitari ai danni di cittadini italiani.
La prima forma di accoglienza è quella di informare gli extracomunitari, in modo chiaro e rigoroso, sulle leggi e le tradizioni italiane, perché gli immigrati hanno non solo diritti ma anche doveri. Negli Stati Uniti addirittura si giura abiurando, “assolutamente e interamente”, verso qualsiasi stato o sovranità straniero a cui si sia stato soggetto o cittadino. Integrazione significa conoscenza reciproca e questo processo è ancora lento. La mancata conoscenza crea discriminazione.
Oggi un primo passo verso l’accoglienza lo fa l’associazionismo cattolico confortato dalle parole di Papa Francesco nella esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’ (2013): “I migranti mi pongono una particolare sfida perché sono Pastore di una Chiesa senza frontiere che si sente madre di tutti. Perciò esorto i paesi ad una generosa apertura.”
In particolare, la Comunità di S. Egidio, anche nelle sue strutture decentrate, si spende per la formazione degli immigrati. Intorno alla comunità, inoltre, gravitano una serie di centri di assistenza che offrono sia servizi sanitari che legali. Questa associazione, così come molte altre associazioni cattoliche, svolge un ruolo di prima intermediazione culturale. Il percorso è ancora lungo ed irto di difficoltà. La speranza è quella di veder realizzata la massima: “il nostro noi è pieno di altri”. (Francesco Di Vice)

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