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*OR* N.35/10 - Prof. Vittorio Bachelet

Segni, attese e speranze per il mondo.
Vittorio Bachelet e l’educazione al bene comune

di Giuseppe Falanga

Nella primavera del 1964 Vittorio Bachelet prende parte ai lavori della XXXVI Settimana sociale dei cattolici italiani, celebrata a Pescara, con una relazione sul tema “L’educazione al bene comune” (1). 

In qualità di vice Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana – di lì a qualche giorno sarà nominato Presidente Generale da Papa Paolo VI – l’autorevole giurista, professore ordinario di Diritto Amministrativo presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Trieste, da decenni attivo in prima fila e con generosità di impegno nell’associazionismo cattolico, interviene per promuovere una riflessione ampia ed articolata sulla formazione socio-politica dei cattolici italiani a partire dai principi della Dottrina sociale della Chiesa cattolica. 

Il suo contributo intende, in particolare, aiutare il laicato cattolico a comprendere le radici dell’educazione al bene comune e, quindi, offrire tracce di analisi storico-sociale attraverso cui evidenziare i fondamenti e il significato della vita civile. 

La relazione raddensa i temi principali della visione politica di Bachelet, argomentati in modo puntuale ed equilibrato, movendo dalle premesse dottrinali dell’agire politico, con stile piano e persuasivo, verso alcuni temi e motivi più direttamente riferiti all’attualità, per enunciare considerazioni di portata generale su cui modulare elementi di cognizione e di valutazione utili al governo della ‘res publica‘. Ne viene fuori un invito, formulato sin dalle prime battute, ad assumere con audacia una posizione attiva tra “una lineare aderenza agli essenziali immutabili principi della convivenza umana” ed il “senso storico” che ordina ed orienta le vicende umane.

L’assemblea tradizionale dei cattolici italiani è, del resto, convocata in un momento di grande complessità in cui tanto la Chiesa quanto la società italiana sono attraversate da trasformazioni profonde e tali da esigere una messa in discussione leale e coraggiosa di consuetudini apostoliche a lungo ritenute salde e di indubbia efficacia dal laicato cattolico.    

Per Vittorio Bachelet formare al bene comune vuol dire collocarsi innanzitutto nel frangente temporale in cui si è chiamati a vivere, per attuare nel contesto sociale, con l’intelligenza delle cose, i principi cristiani, senza sottrarsi alle sfide quotidiane. Tale posizione non ha in sé nulla di estemporaneo, giacché consegue ad un’attività continua di formazione da implementarsi su diversi livelli di consapevolezza individuale e di partecipazione collettiva. Egli definisce quest’impresa come un accompagnamento irrinunciabile alla crescita spirituale, intellettuale, morale e tecnica dei cittadini cristiani. Ne consegue che il bene comune si profila all’orizzonte della Storia come un principio onnicomprensivo per il quale occorre che ci si ‘attrezzi’ con costanza di esercizio spirituale, con acume intellettivo, con rettitudine morale, con competenza tecnica.

Non sorprende che le parole di Bachelet aiutino a definire ancora oggi le coordinate di riferimento magistrale entro cui poter meditare la progettualità culturale e le linee di azione politica del cattolicesimo democratico. 

Il rinnovamento cristiano della società si fonda sull’impegno sociale degli uomini e delle donne di buona volontà; quest’impegno è alimentato dalla certezza che Dio non abbandona i suoi figli, nonostante le difficoltà riscontrate in ambito intellettuale, politico e sociale. 

L’illustre relatore dichiara che è proprio degli adulti il compito di educare i giovani, perché – forti del messaggio della salvezza cristiana e del suo ancoraggio esperienziale – non siano deluse le attese e le speranze che s’agitano nel cuore di ogni uomo. 

Così intesa, l’educazione al bene comune assume i contorni di un’attività più estesa e profonda di un’estemporanea iniziativa settoriale, giacché retta da un’istanza formativa alta, mossa com’è dalla visione globale del mondo e dell’umanità che, radicata nel Vangelo, rende ogni progetto capace di traguardare orizzonti valoriali cristianamente ispirati.

Bachelet parametra i ‘luoghi’ in cui l’educazione al bene comune può esprimersi come pratica ordinaria di mediazione fiduciosa tra i principi immutabili della fede cristiana e la mutante contemporaneità di ogni manifestazione presente.

È comprensibile che il pensiero sia rivolto ai giovani. Ed è significativo constatare che siano richiamate alcune circostanze pratiche – le ‘società’ particolari – in cui il principio del bene comune potrebbe essere applicato per via deduttiva, come emergenza fisiologica, diremmo naturale, del contesto specifico.  

La famiglia è indicata come primo strumento per l’educazione al senso del bene comune, giacché essa più di altre società particolari è capace di armonizzare le esigenze personali con quelle della comunità naturale.

La Chiesa, poi, offre la dimensione essenziale ed insostituibile entro cui i giovani possono percepire ed esperire l’istanza etica fondamentale del bene comune, sentendosi parte responsabile della comunità universale e, dunque, membra di unico corpo mistico.

La scuola è chiamata, inoltre, ad educare al bene comune mettendo in campo le migliori risorse formative, a valere su di un patrimonio culturale e pedagogico in cui l’educazione civica non può non assumere preponderanza metacognitiva e interdisciplinare.

Infine, alle associazioni giovanili è riconosciuta un’importanza non secondaria nell’educazione al bene comune, che è da attuare in modalità integrata con i percorsi intrapresi in famiglia, in parrocchia, nella scuola. 

La varietà degli attori sociali che concorrono a declinare principi e valori nel solco della Storia dimostra pertanto che l’educazione al bene comune va lumeggiata nel più ampio orizzonte dell’impresa pedagogica del Personalismo moderno. Facendo leva sulla tradizione educativa cristiana e sulla Dottrina Sociale della Chiesa, essa ne declina temi e motivi con fiduciosa apertura alle mozioni di cambiamento emergenti nel mondo contemporaneo, tentando sintesi più che ostentando cesure.

Non è un caso che Bachelet parli da vice-presidente nazionale di Azione Cattolica e rievochi l’esperienza di vita associativa come straordinaria piattaforma formativa su cui i laici si ritrovano in ascolto della Parola, aderiscono a un progetto culturale ed animano una missione di evangelizzazione attraverso cui recepire le istanze plurime della società ed elaborare la trama complessa dell’esistenziale e del politico.

La dimensione associativa – quale esperienza singolare di socialità ispirata dai valori cristiani – può offrire ai laici un’estensione arricchente delle passioni e degli interessi che occorre ricomporre in funzione di mete più alte delle singole mire individuali, per il soddisfacimento dei bisogni di tutti. 

In questa cornice va articolandosi il lavorio fiducioso di uomini e donne che, alle prese con le attività professionali di tutti i giorni o in prima linea nell’agone politico, si confrontano e discutono per elaborare un modello culturale ed una prassi sociale che assumano la democrazia come forma e metodo del governo politico. Essi vorrebbero, in tal modo, contribuire al rinnovamento delle istituzioni con la forza operosa del Vangelo e con un impegno radicato nella quotidianità che si nutre di segni, attese e speranze senza infingimenti, perché apprese nella normalità sofferente e promettente della vita ordinaria, senza che sia disertata la complessità del reale. 

Si evidenzia, in questa dimensione culturale di respiro ampio, un’idea del fare politica che, attingendo alla concezione cristiana della persona, investe tutt’intera la cognizione della società quale comunità che include le differenze, avendo a cuore il destino dei cittadini. 

Vittorio Bachelet parla al laicato cattolico, perché si lasci interrogare dai problemi di ogni giorno per ipotizzare risposte credibili, fattibili, sostenibili. 

Educare al bene comune significa allora investire energie morali e intellettuali in un impegno corale che vorrebbe sanare lo iato tra la fede cattolica e l’attività politica, retto com’è tale sodalizio sulla certezza che i cristiani, in forza del patrimonio di valori desunti dal Vangelo, possono contribuire a migliorare il governo democratico e popolare dell’Italia. Occorre saper leggere ed interpretare i grandi rivolgimenti del tempo presente, ma bisogna prestare ascolto anche alle istanze territoriali, nella specifica fattispecie delle loro emergenze, perché lì si è chiamati a rendere testimonianza dei valori di fedeltà ed onestà, di dialogo ed impegno che alimentano il sano pluralismo. 

In tal senso, la sutura tra il credere in un Altro e l’agire per gli altri è ineludibile cifra missionaria di un laicato inclusivo e responsabile che, nel piccolo e nel grande, sa spendersi su diverse scale di prossimità. E, nel tratteggiare le coordinate di un’educazione socio-politica cristianamente ispirata, Bachelet insiste sulla necessità di tener salva la coscienza di una duplice ineludibilità: quella dell’esercizio dei diritti e quella dell’adempimento dei doveri, entrambi armonizzati nel fermo riferimento ai principi e ai valori della dottrina sociale cattolica. 

Chi educa al bene comune non può, dunque, non indurre – nei giovani come negli adulti – quel sentimento morale illuminato dalla Fede che, prima ancora di tradursi nell’espressione dialettica dei diritti rivendicati e dei doveri adempiuti, assume la bella forma della responsabilità.

L’educazione al bene comune è da intendersi come formazione al ‘senso’ di quel bene e come stimolo a perseguirlo con l’impegno personale; come processo continuo che s’invera e rigenera in momenti diversi dell’attività sociale, anche quando questa, accolte le premesse nello studio individuale e condivise nella dimensione associativa, assume forma di parte, diviene cioè espressione di una partecipazione attiva nel governo delle cose. 

D’altro canto, l’esordio stesso dell’intervento di Pescara, nel caratterizzare l’incipit della relazione, precisa che vi è un’educazione al bene comune che non è ritagliabile su di un segmento limitato alla stagione dell’infanzia o della giovinezza, bensì deve proseguire “usque ad vitae supremum exitum”. 

L’educare al bene comune si fa, in tal modo, prassi di verifica dell’agire politico stesso e diventa un motivo costante di confronto ed aggiornamento ‘nella’ comunità politica. 

Del resto, Bachelet osserva che le suggestive proposte derivanti dai sistemi ideologici e dai programmi politici, quelli che comunemente animano l’opinione pubblica, sembrano provocare i cittadini cattolici fino a far credere loro di essere chiamati ad un confronto impari, costretti a subire con pressione invalidante un complesso d’inferiorità procurato – e qui sta il punto – da una formazione che non attinge sufficientemente al ricco giacimento della Dottrina sociale della Chiesa cattolica. 

A tal fine, Bachelet richiama alcuni punti essenziali per rilanciare una progettualità educativa che sia libera e feconda. 

Il primo: la formazione alla coerenza ideale, ribadita nel necessario vigore d’animo a fronte di un pluralismo sfidante che, nell’accogliere il bene ovunque esso sia promosso in esito al diffuso convenire, non per questo deve obliare la visione cristiana del mondo.

E ancora: tale formazione dev’essere orientata da una visione globale delle occasioni di bene presenti nel mondo, cioè dev’essere sensibile ai suoi bisogni ed attenta alle sue promesse; non può tuttavia non garantire la coerenza morale tra il pensare e l’agire, in questo mostrandosi capace di donare a tutti la ricchezza del bene comune come elemento di sintesi delle istanze di libertà e di giustizia, non dell’una o dell’altra soltanto, affinché la libera iniziativa che la verità illumina sia giustamente alimentata dalla carità. 

Vittorio Bachelet non fa altro che rileggere con meditato approccio cristiano la moderna dialettica dei diritti e dei doveri: nella ricerca del bene comune, il cittadino cattolico sa, da un lato, che i diritti non sono elargizioni dello Stato, perché riconducibili alle libertà inalienabili della persona; dall’altro, sa che nel compiere il proprio dovere ogni sacrificio è richiesto a sé stesso prima che agli altri. 

È quanto Papa Giovanni XXIII aveva esposto qualche anno prima nella “Pacem in terris”. La coscienza dei diritti umani e civili propri dalla singola persona, finanche rivendicati nel dolore come cifra di una dignità incomprimibile, non può che includere la consapevolezza per tutti e per ciascuno nel riconoscere gli stessi diritti e di rispettarli: la legittima rivendicazione del singolo s’accorda nel più alto e nobile impegno della società. 

Infine, il richiamo alla responsabilità sociale e politica diviene un monito ad intraprendere la via della partecipazione democratica come esercizio di laicità, senz’ingenuità e con coraggio, sperimentando andamenti mediani tra l’ambito formativo della comunità ecclesiale e l’ambito testimoniale della società civile.

Bachelet richiama i fondamenti essenziali e perenni del bene comune, ad iniziare dall’alimento della conoscenza e dei valori ideali, per comunicare ai giovani la visione religiosa dell’uomo e della vita.

L’attenzione all’universo giovanile non può non tradursi nella guida vocazionale e nella disciplina morale, affinché l’esercizio delle virtù disponga gli animi alla responsabilità delle scelte, allo spirito di servizio, al prudente discernimento dell’essenziale e del rinunciabile. 

La preparazione culturale, professionale e tecnica dei giovani è poi riconosciuta come pegno di una buona gestione delle risorse non solo culturali e sociali, ma anche di quelle finanziarie e materiali, giacché la definizione del bene comune interpella non tanto le riserve interiori della contemplazione quanto il lessico e la prassi dell’impegno attivo.

L’operatività del bene comune è una misura efficace per il miglioramento della società se la formazione dei giovani è di stimolo alla sensibilità storica, il che esige un’attenzione consapevole alla realtà sociale nelle sue contingenze storiche e culturali, ossia la capacità di scoprire i “segni dei tempi” per operare sintesi tra i principi dottrinali e le dinamiche dell’attualità. 

Infine, se il rispetto delle leggi che regolano la convivenza politica è compito ineludibile di ogni cittadino, i giovani potranno cogliere nelle obbligazioni e nei diritti la modalità organica di partecipazione alla vita pubblica solo se educati alla sensibilità e alla moralità civile.    

Torna opportuno il rimando all’Enciclica “Pacem in terris”, non per limitarsi a suffragare un bonario assolvimento degli obblighi morali, tanto meno se nel compiaciuto ossequio a leggi supreme, ma per reimpostare i termini di una disamina articolata e complessa dei dati scaturenti da un’equilibrata indagine sociologica sulla vita politica, laddove sia ritenuta cosa urgente il sospingersi, con audacia, fino al fondamento teologico dell’agire umano. La dialettica dei diritti e dei doveri di ciascuno può così essere al meglio ricomposta nel rammentare che i rapporti della convivenza intanto sussistono fin quando restano ancorati al sostrato di coscienza in cui si dà per ciascuno l’intimo equilibrio tra la consapevolezza di appartenere al mondo e la possibilità di emendarlo nel riferimento a un Dio trascendente e personale. 

NOTA

1) Il contributo di Vittorio Bachelet è stato raccolto in “Persona e bene comune nello Stato contemporaneo. Atti della XXXVI Settimana sociale dei cattolici italiani”, Pescara 30 maggio – 4 giugno 1964, pp.219-232. Il testo è stato pubblicato in: Rosy Bindi – Paolo Nepi, a cura di, Vittorio Bachelet. La responsabilità della politica. Scritti politici. Roma, 1992.

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